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Mal di schiena acuto VS mal di schiena cronico

Solo la parola “schiena” accomuna queste condizioni di dolore


In tanti centri di assistenza medica, dove tutti i giorni si occupano del dolore muscolo-scheletrico, circa il 60 % dei casi, sono dovuti al mal di schiena

Molte persone, con la speranza di liberarsi di questa “bestia” seguono diversi percorsi orientati a raggiungere di nuovo la piena funzionalità. 

Questo problema è così comune che tanti sanitari ed anche i media si occupano spesso del tema, proponendo concetti molto, troppo, contrastanti, che provocano nel paziente sofferente un poderoso impatto non solo sul dolore e la disabilità, ma perfino sul tempo e sulla qualità di recupero.   

Il dolore acuto e il dolore cronico


Il primo ostacolo che deve superare la persona è il malinteso frequente che predomina, riferito alla parola cronico, interpretato come gravità. Invece, serve solo a determinare la cronologia del dolore e non per identificare altro parametro, cioè la serietà della patologia. 

Il mal di schiena acuto è riferito a un dolore nuovo, mai patito prima, che si risolve in quattro settimane circa, mentre il cronico persiste per più di tre mesi. Questo malinteso può influenzare negativamente già in partenza le aspettative di prognosi del paziente, inoltre complica la gestione e la sua risposta al trattamento.

Se hai sofferto improvvisamente, cioè, in modo acuto, un quadro di mal di schiena fino a restare bloccato, questa è una situazione completamente diversa dal presentare un dolore alla schiena che, lentamente e con alti e bassi, progredisce da mesi oppure anni, definito come cronico.                                                                                                      

Chiarito questo aspetto, si possono risparmiare tanti disagi: denaro, tempo, dolore e salute.
Quando il dolore è acuto, di solito, spiegando alla persona che è una risposta normale dell’organismo, calmando la contrattura muscolare condizionata dal dolore, e ricordando che è improbabile che ci siano stati danni tessutali severi, con le raccomandazioni precise di come riprendere le attività, nel tempo prefissato sarà possibile tornare di nuovo in carreggiata. 

Se, invece, il fastidio si protrae da lunga data, ossia, è cronico, diventa una situazione ormai complessa che supera la normale reazione di protezione del proprio corpo. Il cervello, unico organo deputato a determinare la presenza del dolore, continua a inviare segnali di rischio, sebbene i tessuti siano già guariti. A questo punto, dobbiamo analizzare diversi altri fattori coinvolti in questo processo tanto diverso da quello del dolore acuto. Entrano in gioco le nostre credenze, esperienze passate, consigli sbagliati, abitudini inutili, lo stress quotidiano, per elencare alcuni.                                     

Si può guarire dal mal di schiena cronico?


Per concludere, è importante sapere che, sicuramente, il mal di schiena cronico può essere risolto, contando sulla disposizione attiva del paziente. Sarebbe auspicabile per conseguire lo scopo, innanzitutto comprendere il proprio dolore, per diminuire le paure, l’ansia, man mano anche il dolore e in seguito riprendere a muoversi tramite schemi sani di movimento in modo graduale.    

Cosa devo fare se soffro di dolore cronico?

Cosa devo fare se soffro di dolore cronico?

Il dolore cronico è quello che dura oltre il tempo previsto di guarigione tissutale. È molto diffuso: una persona su cinque lo patisce. Le persone per le quali la causa sia muscolo-scheletrica, dovranno sfidare diversi problemi che impediranno uno stile di vita normale, con l’impossibilità di poter realizzare tanti progetti nella loro esistenza. Affrontare in modo innovativo la miriade di fattori contribuenti a detta condizione però, consentirà a queste persone di gestirla autonomamente e a lungo termine, riprendendo a svolgere le attività perse e di impegnarsi in altre nuove.

Come definire il dolore persistente (cronico)

Il dolore è un’esperienza normale e necessaria dell’uomo, che ci indica e protegge da uno stato di pericolo. Ha origine nel sistema sensitivo del dolore del nostro organismo, che coinvolge l’intero corpo.

“Il dolore cambia il modo in cui pensiamo, ci comportiamo e ci muoviamo”.

Il sistema del dolore a volte si comporta di maniera da non riflettere correttamente quello che sta accadendo nel corpo. Il dolore protratto è quello che persiste dopo il tempo normale di guarigione dei tessuti danneggiati, dovuto a fattori di stress, che si percepisce senza l’esistenza di nuovi danni ai tessuti.

Ma attento, il tuo dolore è reale, “determinato” dal tuo cervello.

Il disturbo influirà su tutti gli aspetti della tua vita, come le attività quotidiane, a casa, al lavoro, sociali. Può modificare il modo di pensare, come ti senti. Potresti essere più preoccupato, evitare dei movimenti, come prendere in braccio tuo figlio, per timore di peggiorare la situazione. Il dolore può condurti a isolarti, a diventare triste, a evitare momenti di divertimento, a non frequentare gli amici, a non riuscire a vedere una via d’ uscita al problema, perdendo la speranza, può impedirti di concentrarti, portandoti a colpevolizzarti. I nostri pensieri, come e cosa pensiamo, impattano sull’intensità del dolore e sulla sua persistenza.

In sintesi, come abbiamo osservato, nel dolore è coinvolta tua la persona, in corpo e spirito, quindi al momento di trattarlo dovremo agire su ognuno dei fattori contribuenti.

La ricerca sulle neuroscienze del dolore ci dimostra che un completo approccio delle cause determinanti è la strategia migliore per gestire il dolore che persiste.

 

Come può manifestarsi il dolore persistente? Come…

Dolore protratto oltre il tempo di normale guarigione dei tessuti
Occasionato da una lesione organica o da una malattia cronica in corso
Presente in una o più aree del corpo, a volte si sposta oppure è associato ad altri sintomi, come formicolio, parestesie, cambi di temperatura e colore localizzati
Mobilità limitata che può scatenare o accentuare il dolore
Percezione di debolezza e ridotta la tolleranza agli esercizi
Affaticamento
Paura ed evitamento del dolore dovuto al movimento (kinesiofobia)
Difficoltà legate al sonno, sia nell’addormentamento, sia interrotto
Perdita d’interesse per normali attività, della motivazione
Ansia e depressione.
Persistente preoccupazione riferita al soffrire dolore
Compromesse la memoria, la concentrazione e il pensiero
Rabbia, insensatezza: perché è capitato a me?

 

Quali potrebbero essere le cause del dolore persistente? La multifattorialità.

Con certezza non si sa il motivo per il quale il dolore persista, giacché la stessa condizione può occasionare risposte tanto diverse da una persona ad un’altra. Per cosa in uno scompare nel tempo prestabilito e in un altro altro rimanga a lungo non è ancora chiaro. Ma si sa che il sistema del dolore in determinati casi può rispondere in modo sbagliato e, in assenza di minaccia, continua ad inviare segnali di dolore. Questo dipende dal fatto che il cervello è l’unico organo deputato a elaborare e determinare se ci sia o meno dolore, in base all’informazione (a volte fraintesa) che gli arriva da molte parti del nostro organismo, sia dal corpo che dalla mente (pensieri e convinzioni inutili, terapie fallite, problemi lavorativi e sociali…).

 

C’è un trattamento per il dolore persistente? Abbiamo a disposizione:

  • L’educazione sul dolore
  • Esercizi motori mirati
  • Pianificazione delle attività giornaliere
  • Gestione dello stress
  • Rilassamento.
POSSO LIBERARMI DEL DOLORE CHE VIVO OGNI GIORNO

Posso liberarmi del dolore che vivo ogni giorno?

Poco tempo fa, facendo memoria delle diverse richieste fatte da tanti di miei pazienti affetti dal dolore muscoloscheletrico persistente, ognuno con delle caratteristiche proprie, decisi di scriverle, per poi accorgermi che esiste un percorso del pensiero “naturale” e ricorrente in chi soffre, che porta le persone a farmi spesso domande simili.                                                                            

Partendo della prima domanda che mi è venuta in testa, oggi, proverò a raccontare le mie risposte.

“Perché mi fa male? Ma cos’è questo dolore?”

Inizio spiegandoti che il dolore è il modo che il corpo ha per comunicare ciò che sta provando. Spesso siamo così presi delle attività quotidiane che ci dimentichiamo del nostro corpo, il quale ci invia dei messaggi che ci indicano che dobbiamo fermarci per accertare che tutto vada bene. Se non lo facciamo, si mette a gridare e questo urlo è il dolore che ci fa reagire, paralizzandoci, fuggendo, oppure combattendo.

“Ma il dolore ci indica che c’è un problema organico concreto?”

Non necessariamente. Dobbiamo stare attenti: se ci fosse un danno evidente ai tessuti, passato il tempo fisiologico di guarigione il dolore dovrebbe scomparire, ma se perdura conviene escludere delle possibili ma rarissime patologie da curare. Ho tanti pazienti portatori di dolori protratti, ma che dopo diversi studi orientati a scoprire delle precise patologie, non hanno una diagnosi precisa. A questo punto, c’è la possibilità, inoltre la più frequente, che il problema sia dovuto al rapporto tra la persona con il suo corpo.

“E cosa significa rapportarsi con il proprio corpo?”

Rispondo con una domanda: “Quale è l’utilizzo che fai del tuo corpo?” 

Elencando gli aspetti coinvolti in questa azione, come quelli fisici, della cognizione che abbiamo di noi stessi legati al movimento, quelli relativi al modo di pensare e ai comportamenti risultanti, definiamo il modo di correlare il dolore che proviamo con i fattori causanti del male.

Ricordo anche di aver chiesto a più di uno di loro:

“Cosa fa il tuo corpo quando sollevi un peso o stai ore al computer?”

La verità è che sei tu ad avere il potere per decidere di creare la strategia giusta e metterla in atto, sia quando pensi, quando ti percepisci, ma anche quando ti muovi. Il binomio che agisce è sempre composto dal tuo corpo e dalla consapevolezza di te stesso. Quindi, la qualità nel modo di usare il tuo organismo “MENTE-CORPO” dipenderà dalla tua volontà, della tua conoscenza sul dolore e della tua consapevolezza. 

Spesso qualcuno ha messo in dubbio la mia spiegazione dicendo:

“Conosco delle persone che fanno lavori usuranti e non si lamentano del dolore”.

Infatti, il dolore è individuale nel modo di manifestarsi. Nel corpo umano la debolezza non si esprime solo nell’apparato muscolo scheletrico, ma anche nei pensieri, nelle credenze inutili, nelle emozioni nocive e negli atteggiamenti sbagliati. A volte è la società in cui viviamo che ci porta fuori dalla zona di comfort e ci costringe a patire problemi muscolari causati dallo stress che ci provoca. Se migliora la situazione sociale-lavorativa, questi problemi muscolo scheletrici diminuiscono.

Un’altra persona, dopo aver conosciuto e compreso questo argomento, ha suggerito:

“Vuol dire che se imparassi a conoscere il mio dolore e ad avere sane abitudini, il dolore potrebbe andarsene o almeno attenuarsi?”

Probabilmente, se trovi il professionista adeguato ad intraprendere con te un percorso di trasformazione della tua condizione, lavorando in prima persona, proattivamente, potrai un po’ alla volta vedere dei risultati, mentre promuoverai un migliore funzionamento integrale partendo da un pensiero positivo, gestendo le tue emozioni e applicando schemi di movimento virtuosi.

Tornando all’affermazione dei miei pazienti che ha originato questa esposizione, alcuni mi riferivano che, se nei giorni buoni non provavano dolore, questo rimaneva sempre “attivo” nella loro testa e che, a volte, senza nessun trauma apparente si ripresentava: non riuscendo a prevederne l’arrivo si sentivano limitati nel decidere di fare o meno una certa cosa, chiedendomi:

“Cosa posso fare nelle situazioni di riacutizzazione del dolore?”

Suggerisco ai miei pazienti che la cosa migliore mentre ci sono sia il dolore sia l’incertezza, sarà abituarsi a conviverci con fiducia, cioè senza paura, perché dobbiamo sapere che le riacutizzazioni, dette, “fiammate” (“flare up”), appartengono alla natura del mal di schiena persistente, ma siamo anche sicuri che, un po’ alla volta, se ne andranno. Quando inizi un’attività e senti che lentamente riprende il dolore, rallenta quello che stai facendo e, la prossima volta, riprova ancora a fare un po’ di più, fino a raggiungere il tuo ritmo. Inoltre, non è importante capire ogni volta cosa abbia innescato il dolore perché non sempre è possibile, ma col tempo imparerai a riconoscere cosa ti ha sbilanciato, reagendo in tempo.

Mi ha chiesto ancora qualcuno, colpevolizzandosi:

“Quindi, sono io il responsabile del mio dolore?”

In certo senso, si! Questo perché la chiave di volta è il modo in cui reagisci agli stimoli dolorosi che ti vengono presentati. L’importante è munirsi delle capacità per risolvere quei momenti. La soluzione dipende di una serie d’abilità che scoprirai in te stesso, perché fortunatamente l’uomo ne è già dotato; ci riferiamo al fatto di avere la propria cognizione, la percezione, i sentimenti che scattano quando servono, per poter pianificare e mettere in atto la strategia più adeguata.